In tendenza

Rinviata l’udienza sulla discarica di Scalpello. E sulle motivazioni di “Mazzetta Sicula” emerge una raccolta differenziata… finita nell’indifferenziato

I giudici hanno deciso di rinviare l’udienza accogliendo l’istanza degli avvocati difensori e invitando l’amministrazione giudiziaria a munirsi dell’autorizzazione del giudice per il sequestro a resistere al giudizio

Rinviata a data ancora da stabilire l’udienza sul ricorso al Tar di Catania che i Comuni di Lentini e Carlentini hanno presentato contro la Regione Siciliana e nei confronti dell’amministrazione giudiziaria della Gesac in merito al progetto per la realizzazione di una discarica per rifiuti non pericolosi in contrada Scalpello.

L’assessorato regionale del Territorio e Ambiente aveva rilasciato la Via (Valutazione d’incidenza ambientale) condizionata all’ottemperanza di 26 prescrizioni ma le due amministrazioni comunali hanno scelto di intraprendere un’azione giudiziaria per fermare la realizzazione della nuova discarica. Il Tar ha deciso di rinviare l’udienza invitando l’amministrazione giudiziaria a munirsi dell’autorizzazione del giudice per il sequestro a resistere al giudizio.

A far discutere, infatti, è proprio il progetto presentato dalla Gesac Srl in quanto al momento sotto amministrazione giudiziaria perché sequestrata dal tribunale di Catania a giugno 2020, con i proprietari già condannati in primo grado per traffico di rifiuti e frode in pubbliche forniture. L’inchiesta denominata “Mazzetta Sicula” ha fatto luce su anni di gestione distorta dei rifiuti e ha portato alla condanna a 11 anni e 9 mesi di reclusione per Antonello Leonardi, 8 anni e 8 mesi per suo fratello Salvatore. Sono stati condannati a due anni ciascuno gli imprenditori Francesco e Nicola Guercio, a sette anni il funzionario dell’Arpa Vincenzo Liuzzo, a quattro anni e sei mesi il dipendente di Sicula Trasporti Marco Morabito, a tre anni e due mesi il consulente Giovanni Orazio Messina, e a un anno e sei mesi, pena sospesa, Giancarlo Panarello, che è stato assolto da un capo di imputazione.

La sentenza della terza sezione del Tribunale di Catania ha disposto anche il sequestro delle società coinvolte che sono state condannate a pecuniarie: Sicula Trasporti a 700.000 euro, Sicula Compost a 700.000 euro, Gesac a 150.000 euro, Immobiliare Leonhouse a 80.000 euro, Eta Service 80.000 euro.

La sentenza è stata emessa a luglio 2024 dal Tribunale di Catania nel processo ai due imprenditori della Sicula trasporti, proprietaria della discarica di contrada Coda Volpe, nato da indagini della Guardia di finanza che nel 2020 portò all’amministrazione giudiziaria della società.

Ma le motivazioni (916 pagine) sono state pubblicate mesi dopo e viene documentato un meccanismo complesso, articolato in una rete di rapporti, connivenze, omissioni e – soprattutto – documentazioni falsate. Di fatto, tutta la raccolta differenziata finiva per essere trattata come indifferenziata. È questo uno dei passaggi chiave che emerge dalle motivazioni della sentenza sul caso della Sicula Trasporti.

Secondo il Tribunale, il sistema ruotava attorno a un modus operandi chiaro: rifiuti conferiti come umido o multimateriale venivano in realtà trattati poco o nulla, poi avviati alla discarica senza un reale processo di selezione o compostaggio. In questo modo la differenziata restava un’illusione per i cittadini e una fonte di guadagno illecito per chi operava nel settore. Le intercettazioni e i riscontri tecnici contenuti nelle numerose pagine di sentenza parlano chiaro: i rifiuti, spesso spacciati come “trattati”, venivano semplicemente spostati – a volte mescolati, altre camuffati – e poi scaricati in impianti non autorizzati o fuori norma.

A peggiorare il quadro, la produzione di documenti falsi o irregolari, con viaggi di rifiuti attestati verso un impianto ma dirottati altrove. Una gestione opaca e non trasparente con la raccolta differenziata diventata un’etichetta, utile a giustificare flussi e a ottenere autorizzazioni e fondi, ma non un reale cambio di rotta nel trattamento dei rifiuti. Il Tribunale, pur riconoscendo che parte delle cifre ipotizzate come profitto illecito siano sovrastimate, conferma l’esistenza di un vantaggio economico indebito e una gestione improntata a logiche distorte, dove l’ambiente era l’ultima delle priorità.

Alla fine resta l’amarezza di chi ha creduto in un sistema più sostenibile ma ha dovuto fare i conti con evidenze diametralmente opposte, <span class=”selectable-text copyable-text false”> ma anche l’idea che debba essere la politica ad assumersi la responsabilità sulle questioni ambientali. E non una società condannata, oggi in amministrazione giudiziaria, che vuole insistere su un’area che ha già dato abbastanza in termini di compromissione del territorio.</span>


© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo


© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni