La difesa di Massimo Cannone, il tappezziere lentinese che il 12 marzo uccise la moglie a coltellate nel suo letto, ieri ha impugnato la sentenza della Corte D’Assise di Siracusa chiedendo di produrre la documentazione clinica proveniente dal carcere dove al momento l’uomo è rinchiuso. La relazione servirà a sostenere la richiesta di nominare un consulente per sottoporre Cannone a una perizia psichiatrica. La Corte d’Assise d’Appello ha aggiornato il processo al prossimo 22 febbraio successivamente alla richiesta del termine del sostituto procuratore generale Angelo Busacca per esaminare l’istanza dell’avvocato. Dopo aver ascoltato i pareri, la Corte deciderà.
Dopo aver ucciso la moglie, il tappezziere messo alle strette confessò l’omicidio. Interrogato dal procuratore Sabrina Gambino e dal sostituto, il Pm Gaetano Bono che coordinava le indagini della polizia, nell’aula del Tribunale dichiarò di aver inferto la seconda coltellata quando Naima Naima Zahir, 45enne di origini marocchine, ancora viva, dopo la prima coltellata, gli chiese: “Perché mi fai questo? Ti ho sempre voluto bene. Ti ho sempre amato”.
Secondo quanto emerse dalle indagini degli agenti della Squadra mobile di Siracusa, l’uomo avrebbe ammazzato la moglie perché si sentiva oppresso, come da lui stesso ammesso poche ore dopo il provvedimento di fermo, e così, approfittando della distrazione della vittima, che era sul letto con gli auricolari, le avrebbe inflitto una coltellata mortale. In un primo momento, l’imputato aveva negato ogni accusa e secondo la polizia aveva in mente di scappare. Nell’aprile dello scorso anno, Cannone venne condannato all’ergastolo.
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni
Stampa Articolo
© Riproduzione riservata - Termini e Condizioni