La Corte di Cassazione annulla la sentenza dell’8 ottobre 2024 con la quale il Tribunale di Catania, sezione Riesame, ha disposto la sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella della custodia cautelare in carcere nei confronti del francofontese Giovanni Guzzardi. I fatti risalgono al mese di aprile dello scorso anno quando il Gip del Tribunale di Siracusa, al termine dell’udienza di convalida al palazzo di giustizia dispose la misura degli arresti domiciliari per il 57enne, arrestato dalla polizia di Lentini perché accusato di aver realizzato una coltivazione di erba e detenuto circa 75 kg di marijuana all’interno di un bunker sotterraneo ricavato nella sua proprietà, nel territorio di Francofonte. Nel caso in questione la polizia scoprì che nel bagno esterno alla casa, un piatto doccia appositamente azionato da un pulsante, permetteva di scendere in un locale sotterraneo.
Contro il provvedimento che disponeva il trasferimento in carcere, l’avv. Junio Celesti, difensore di Giovanni Guzzardi, ha presentato ricorso per Cassazione facendo rilevare che, all’esito del procedimento definito con il rito abbreviato, l’imputato è stato condannato alla pena di tre anni di reclusione e che attualmente è ristretto in una abitazione diversa da quella in cui era stato tratto in arresto.
Secondo quanto rappresentato nel ricorso da parte del legale difensore, l’entità della pena inflitta e l’idoneità del domicilio non giustificano l’applicazione della misura cautelare in carcere. L’avvocato Celesti inoltre ha evidenziato che il Tribunale nel provvedimento impugnato non ha valorizzato la circostanza che l’indagato si è scrupolosamente attenuto alle prescrizioni impostegli nel corso di tutto il periodo in cui gli è stata applicata la misura cautelare (circa 6 mesi).
Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, reiterandosi, con esso, i motivi sui quali il Tribunale del riesame si è soffermato e sui quali ha ampiamente motivato illustrando le ragioni in fatto e in diritto a sostegno dell’applicazione della misura cautelare di maggior rigore.
Il giudizio di cognizione di primo grado si è concluso con la condanna a una pena secondo cui non può essere applicata la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva non sarà superiore a tre anni. Secondo tale principio la Corte di Cassazione in accoglimento dell’appello cautelare proposto dal Pubblico Ministero, ha imposto di annullare senza rinvio la decisione impugnata.
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